24.4.11

"Un grande paese" di Luca Sofri. Il libro che dovete leggere tutti.

Ho diversi amici che passano buona parte del loro tempo a lamentarsi dell'Italia. La lamentela è un esercizio utile e doveroso, mantiene attiva l'attenzione, tiene in esercizio il cervello e garantisce la giusta dose di consapevolezza. Ma deve servire. Ho diversi amici che hanno vent'anni e gli ultimi di questi li hanno passati a lamentarsi del loro paese, di tutte le tante cose che funzionano molto peggio qui che altrove, di tutte le anomalie, delle assurdità e delle oscurità. Ho un sacco di amici che osservano, appuntano, protestano. Ho qualche amico che è partito a medio raggio, ha spostato per qualche mese l'orizzonte di riferimento, è tornato e non ne è mai uscito. Ma ho forse solo un paio di amici che hanno fatto la valigia, hanno salutato piuttosto di fretta e non sono più tornati. Il nuovo libro di Luca Sofri, Un grande paese (Rizzoli) parla di te che ascolti i tuoi amici che si lamentano; parla di te che ti lamenti dei tuoi amici che si lamentano e non spostano mai la loro lamentela ovunque altrove; parla in definitiva di quei meccanismi acquisiti, di quei vizi fagocitati che vengono fuori sempre quando qualcuno si lamenta del proprio paese. Parla di te che questo paese lo costruirai anche se forse non sarai qui a farlo. Parla di quel cinismo letale e consolatorio che blocca le energie migliori e che trascina in basso, quando colpisce chi, a vent'anni, non potrebbe permettersi lussi di questo tipo. Parla di quella particolare forma di cinismo che ha preso il posto della voglia di fare che è facile e istantanea risposta a tutto ciò che non si è deciso di fare. Parla delle cose giuste che esistono e vanno fatte, da sè, in solitudine fosse anche questo il prezzo. Quelle cose giuste che abbiamo smesso di fare perchè non le abbiamo più riconosciute come tali o perchè quel cinismo infame ci ha convinto che non ne valesse la pena. Parla di quei vizi che sappiamo riconoscere ma mai riconoscerci: il non accettare lezioni, il non predicare nemmeno perchè non si vuole razzolare nè male nè bene e quel tremendo, vacuo, "sii te stesso" che è traduzione socialmente e poeticamente accettata di "fai il cazzo che ti pare, sei fantastico". Parla di come siamo caduti in una spirale del silenzio perchè ci siamo fatti convincere che l'essere minoranza fosse un male a prescindere, una riserva indiana di conforto per turisti della vita e non un trascinante, vitale e destinato a crescere punto di partenza. Parla di come non lo abbiamo mai votato ma abbiamo sempre intimamente voluto votare qualcuno come lui perchè ci siamo fatti convincere che l'elitismo fosse un male e che la ricerca del basso, del facile, del piccolo fosse la via d'uscita. "Mi basta che tu sia felice" è un desiderio di ripiego. Parla anche di questo. Di come le cose giuste ci siano, siano sempre state lì e di come tocchi a noi farle. A noi e per noi, nelle quotidiane piccole cose, partendo da lì dal paese che singolarmente siamo per far crescere il più grande che abitiamo. Perchè dedicare una vita a quello che è giusto si può e si deve fare, si può riconoscere ed è a quello a cui si deve puntare. Questo libro parla di quanto siete pigri a credere che non ne valga la pena. Perchè se effettivamente siamo i buoni, tocca a noi dimostrarlo. Leggetelo tutti e poi siate Piero Gobetti anche quando decidete dove andare in vacanza.
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